Oggi ricordiamo l’assassinio di Guido Rossa, sindacalista della Fiom-Cgil all’Italsider di Genova, militante comunista ucciso dalle Brigate Rosse. E sono contento di poterlo fare in un modo non canonico.
Ho avuto, infatti, l’occasione di scrivere la prefazione di una graphic novel dedicata alla vicenda di Guido Rossa che potete leggere di seuito. Un’opera – appena pubblicata da Round Robin Editrice – di un giovane e bravo fumettista: Nazareno Giusti. Sono contento di vedere un giovane artista come Giusti dedicarsi a un episodio della nostra storia – sono passati 38 anni, era il 24 gennaio del 1979 – non facile da comprendere appieno per chi non ha vissuto quei giorni. Giusti c’è riuscito.
Il giorno dei funerali di Guido Rossa non lo dimenticherò mai. La pioggia cadeva incessantemente creando una sorta di melodia triste che accompagnava oltre 250 mila persone. L’immagine di tutti quegli ombrelli e delle urla di protesta degli operai, rendeva lo scenario ricco di tensione. Un fiume di persone sembrava avvolgere quel rumoroso silenzio che ciascuno si portava dentro. Un silenzio assordante. Uno di quelli che provi ad ascoltare quando ti senti impotente di fronte agli eventi e alla follia umana. Abbiamo combattuto fin dall’inizio l’idea stessa di lotta amata, ma quando a terra cadono persino gli operai che le Br dicevano di voler difendere, allora la rabbia prende il posto della paura e il silenzio diventa quasi necessario per capire, comprendere e mettere in fila i pezzi di un puzzle con cui il Partito Comunista e il mondo Sindacale avrebbero dovuto fare i conti. Nonostante avessimo preso le distanze fin dall’inizio, alcuni lavoratori non vedevano propriamente come un “problema” un gruppo armato”contro i padroni”. Ma ahimè, solo il tempo e il sangue di vittime innocenti rese tutto più chiaro. Ricordo il volto contrito del Presidente della Repubblica Pertini. Quel viso e quell’attitudine al sorriso di un uomo energico, onesto, diretto e capace di interpretare il sentimento degli italiani era d’improvviso cupo. Riflessivo e quasi inquieto, come se dovesse sedare quella stessa rabbia che molti di noi conoscevano bene. Il giorno stesso volle incontrare i “Camalli”, gli scaricatori del porto di Genova. Le forze dell’ordine lo misero subito di fronte ad un potenziale pericolo, tra quelle persone c’erano simpatizzanti conclamati delle Br. Lui rispose alzando lo sguardo in un modo che non lasciava scampo ad interpretazioni: lo so, ci vado apposta. Un partigiano che ha combattuto per la libertà rimane tale, sempre. E ricordo il volto di molti ragazzi che in quel momento esatto, probabilmente, si resero conto dell’enorme attentato alla democrazia che quell’omicidio si portava dietro. Erano anni difficili, ormai la storia ne ha dato ampio racconto. Ma la difficoltà peggiore da affrontare era la consapevolezza che la lotta armata delle BR aveva dei simpatizzanti e dei seguaci ben nascosti tanto nelle aziende e nei consigli di Fabbrica quanto in sfere dell’opinione pubblica. Ovviamente parliamo di posizioni marginali e assolutamente minoritarie, ma sufficiente a creare un sottobosco di protezione e appoggio alle diverse cellule di terroristi sparsi nel territorio nazionale. Affrontare la realtà voleva dire affrontare il dolore e la dannazione di un tempo in cui la politica si confondeva con ideali di rivolta che in realtà erano spesso solo violenza. Quell’omicidio è stato un punto di non ritorno. A quasi un anno dal rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, l’assassinio di Guido Rossa non lascia più scampo ad alcuna interpretazione sulle reali intenzioni delle Br. Ero giovane e appassionato, convinto che il mondo potesse essere un posto migliore anche grazie alla necessità di mettere il mondo del lavoro al centro dell’interesse nazionale. E dentro la fabbrica di Mirafiori questo sentimento di riscatto sociale della classe operaia era sentito fortemente da tutti. Le lotte sindacali erano dure e nei corridoi delle fabbriche c’erano molte e diverse opinioni sul modo di agire. La bellezza della democrazia, del resto, è anche questo ed è un confronto necessario. Ma la mattina di quel maledetto 24 gennaio del 1979 la notizia del commando che freddamente mette fine alla vita di un altro uomo per bene, segna il passo che renderà tutti consapevoli che il male andava estirpato dall’interno. Come un tumore. A distanza di quasi 40 anni penso che la morte di Guido Rossa forse non è stata vana. Certo, pensare che debba essere un crimine così efferato quello che ha reso più chiaro il contesto, è anche l’amara consapevolezza di chi, allora, non volle capire che le vere vittime delle Br sarebbero stati proprio gli operai.
“Fascisti e brigatisti, non passerete mai. Assieme a Guido Rossa, ci sono gli operai.”Dopo tutti questi anni quelle parole, quelle degli operai nell’ultimo saluto a Guido Rossa, mi suonano ancora in mente. Da Ministro del Lavoro mi è stato chiesto spesso come la politica di un governo attento ai lavoratori avrebbe dovuto agire. Ma la politica non si fa con i se e con i ma, e soprattutto non con il senno di poi. Bisogna evitare comportamenti superficiali e riportare nella dialettica politica il rispetto per l’avversario che non è mai un nemico. Questo vale per la destra come per la sinistra. È ora di stabilire qualche regola ed essere meno tolleranti con chi trasgredisce, distinguendo tra aggressore e aggredito. Durante il mio incarico di Governo e anche dopo, a dire il vero, alcune piccole frange di terrorismo sono state fermate dalle forze dell’ordine. E non mi è sfuggito allora, come non mi sfugge adesso, che alcune di quelle persone in tasca avevano tessere dei sindacati e di associazioni politiche. Questa cosa è preoccupante, inutile negarlo, anche se vanno distinte le posizioni e tocca rifiutare sempre le connessioni forzate che mettono assieme sindacato e lotta armata. Tutte le sigle sindacali, dalla Cgil, alla Cisl e la Uil hanno sempre contrastato qualsiasi deriva violenta. A colpirmi in realtà è la capacità di fare proselitismo trai giovani operai da parte di alcuni residui della vecchia esperienza brigatista. Se un ragazzo e una ragazza senza lavoro non hanno risposte dalle Istituzioni, le cercheranno altrove e il rischio dei cattivi maestri è dietro l’angolo e non possiamo permetterlo.
I terroristi, fin dall’inizio hanno cercato di insediarsi alla Fiat Mirafiori e nelle altre grandi Fabbriche del tempo. Entrare nel luogo simbolico delle lotte sociali e politiche era per loro un obiettivo prioritario. Ho assistito, fin dal 1972, a questo fenomeno e l’ho combattuto con forza. Oggi la memoria che riaffiora è carne viva. L’aggressione a Bruno Labate, il sindacalista Cisnal legato a un palo, rasato e cosparso di pece o il sequestro del dirigente della Fiat Ettore Amerio, l’assalto militare di Prima linea alla Scuola di amministrazione industriale di Torino… prologo violento di una escalation ancor più violenta che portò agguati, gambizzazioni e omicidi. Pochi forse ricordano ancora gli omicidi dell’ingegner Carlo Ghiglieno e del vicedirettore della Stampa, Carlo Casalegno. La memoria è spesso una dimensione complicata con cui convivere.
Per riuscire ad affrontare concretamente il fenomeno del terrorismo di quegli anni è stata determinante l’unità delle forze sociali, politiche e istituzionali che hanno costruito una rete di protezione con un messaggio culturale e politico. Ricordo che dopo l’incendio doloso al sottopasso tra le officine meccaniche e le carrozzerie di Mirafiori, con la scoperta delle scritte inneggianti alle Br, il sindacato propose la vigilanza operaia alla Fiat per arginare il fenomeno e individuare i terroristi, ma la proposta non fu accettata dall’azienda. Come funzionari della Federazione lavoratori metalmeccanici di Mirafiori decidemmo di far sottoscrivere ai 600 delegati del “consiglione” di fabbrica che rappresentava quasi 60.000 dipendenti — un organismo enorme che dà l’idea del peso del sindacato del tempo — un documento di condanna della lotta armata. Solo pochissimi non lo firmarono e vennero espulsi, alcuni lo sottoscrissero e successivamente scoprimmo che appartenevano alle Br. La capacità di mimetizzarsi era tale che alcuni brigatisti, da delegati sindacali, esprimevano addirittura posizioni tra le più moderate e di mediazione, e ciò ne rendeva più difficile l’individuazione.
Oggi la necessità di non dimenticare il ruolo determinante della cultura, dell’informazione e della memoria ci pone di fronte ad una scelta obbligata: quella del dialogo sempre aperto con le forze sociali. Questo fumetto di Nazareno Giusti, raccontato in maniera corretta e priva di derive ideologiche, è uno strumento efficace e oserei dire necessario per contribuire al racconto della storia della “meglio gioventù” di questo paese. I disegni restituiscono emozioni e suggestioni necessarie. Spesso mescolare arte, informazione e storia, come in questo caso, da dei risultati sorprendenti anche da un punto di vista sociale e politico. Un risultato composto dà un’immagine completa e reale, che descrive il nostro tempo non facendo sconti e non nascondendo la verità. Quella verità necessaria alla democrazia che dovrebbe guidare il comune sentire di una comunità che si sente tale, e degna di potersi definire tale. Guido Rossa non deve essere ricordato come un martire e tantomeno come un eroe. Guido era un uomo caparbio e determinato, un operaio scrupoloso sul lavoro, un sindacalista attento ai problemi dei suoi compagni e una persona normale che ha provato a rendere migliore, e normale, una società complessa e a tratti violenta come quella degli anni settanta. Un uomo giusto da ricordare e di cui essere fieri, la nostra meglio gioventù.