Rassegna Stampa

Questo articolo è stato pubblicato, per la prima volta, su Il Nuovo Corriere Nazionale di oggi.
 
“La sfida Gig Economy”
 
di Cesare Damiano
 
Nuovi modi di produrre servizi creano lavori inediti. Sevono idee per ripensare sia rappresentanza che diritti
 
L’Associazione di cui sono presidente, Lavoro&Welfare, ha aderito a una iniziativa della Regione Lazio che, sia sul piano simbolico che sociale, sta diventando uno degli assi, contestualmente, dello sviluppo e del conflitto del nostro tempo: la Gig Economy. La Regione guidata da Nicola Zingaretti si è mossa per la stesura e, quindi, l’adozione – con la collaborazione delle forze imprenditoriali e sociali – di una Carta che definisca buone pratiche relative al lavoro nelle piattaforme digitali. Le materie che si vogliono disciplinare sono: la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro con la copertura assicurativa e della malattia, della maternità e della paternità; il diritto a una retribuzione equa, in linea con i contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei lavoratori subordinati o autonomi; la copertura previdenziale; la formazione professionale; l’utilizzo di strumenti di lavoro che siano messi a disposizione dell’impresa; la trasparenza delle procedure di valutazione delle prestazioni; l’informazione chiara e preventiva sulle condizioni contrattuali applicate; il rispetto del principio di non discriminazione nel trattamento economico e giuridico; il diritto di organizzarsi liberamente nelle forme di rappresentanza. È una grande sfida del nostro tempo, nel quale nuovi modi di produrre ed erogare servizi generano forme di rapporto di lavoro di cui è difficile perfino distinguere la natura. Si tratta di lavoro dipendente o autonomo, solo per fare un esempio? Fatto sta, che quando uno smartphone sostituisce il “capo”, quando tempi e ritmi sono dettati da un algoritmo e via elencando, si devono pensare nuovi modi per individuare il limite dello sfruttamento e il modello di rappresentanza dei diritti del lavoratore. Così, la scorsa settimana, Lavoro&Welfare ha consegnato alla Regione Lazio la propria bozza di proposta di legge.

Anche il ministro del Lavoro, della Previdenza Sociale e dello Sviluppo, Di Maio, ha tenuto incontri, prima con un’organizzazione autonoma dei riders, poi con le imprese del settore. Dopo i quali ha annunciato un tavolo di contrattazione con le aziende allo scopo di regolare la materia. Le aziende hanno dato la propria disponibilità a sedersi a quel tavolo. Da vedere se sarà un’iniziativa tesa allo sviluppo di una forma di autentiica di concertazione con tutte le parti oppure no.

Il quadro teorico nel quale si muove l’ipotesi di Di Maio, va detto, è quello della disciplina di varie materie attraverso quello che ha chiamato “Decreto Dignità” e dell’eliminazione totale del Jobs Act, non di una sua riforma. Bisogna perciò domandarsi se il Parlamento sarà disposto a varare una legislazione ex-novo che sostituisca il Jobs Act stesso. Si può ipotizzare che la maggioranza possa “tenere” su un simile punto? Mai dimenticare quanto, in particolare al Nord, la Lega abbia un pezzo rilevante della propria constituency nella classe imprenditoriale, soprattutto nelle piccole e medie imprese, sicuramente per nulla ostili ai fondamenti della legislazione di riforma del mercato del lavoro varata dal Governo Renzi.

Anche il Cnel – il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, guidato da Tiziano Treu – è al lavoro su una proposta di legge relativa alla Gig Economy. Seguendo una linea di impostazione diversa da quella di Di Maio, il Cnel indirizza la sua proposta verso l’applicazione alle piattaforme dell’economia digitale del regime delle agenzie di somministrazione.

Altro punto da tener presente – in cui l’ottica dell’annunciata azione di Di Maio mostra qualcuno dei suoi limiti potenziali – è la natura della Gig Economy: con questo termine ci si riferisce, infatti, a un mercato del lavoro caratterizzato dalla prevalenza di contratti a tempo determinato e occasionale, e di lavoro freelance – nominalmente, insomma, indipendente ma, sostanzialmente, subordinato a seguito dei nuovi vincoli di dipendenza dettati dalle piattaforme digitali.

Ecco allora, che anche un’iniziativa come quella della Regione Lazio mostra di indirizzarsi verso un orizzonte più corretto. Perché la precarietà dei rapporti di lavoro è fenomeno assai più ampio del destino dei soli dipendenti delle app di consegna dei pasti a domicilio. Lavoratori la cui precarietà è oggi particolarmente visibile manifestandosi nelle strade delle nostre città. Ma, come mi è capitato più volte di ricordare, la maggior parte dei nuovi posti di lavoro che sono stati creati nell’insieme dei Paesi sviluppati, dopo la crisi del decennio passato, è a tempo determinato. La precarietà è il segno del nostro tempo. Ha a che fare con fenomeni che si sviluppano ormai da lungo tempo. Come ricorda in un suo recente saggio, dal titolo “Disuguaglianza e crescita economica”, Joseph Stiglitz, a differenza degli anni 50 e 60, nei quali tutti i gruppi sociali progredivano, la diseguaglianze sono cresciute in modo esponenziale per l’applicazione in politica di teorie economiche che favoriscono la classe più abbiente: “Negli ultimi 25-30 anni – ricorda Stiglitz -, l’indice di Gini, il parametro comunemente usato per misurare la disuguaglianza di reddito, è aumentato di circa il 29 per cento negli Stati Uniti, del 17 in Germania, del 9 in Canada, del 14 in Gran Bretagna, del 12 in Italia”. L’ascensore sociale si è fermato per i più. Compito, arduo ma più che mai necessario, di forze autenticamente riformatrici è quello di rimetterlo in moto.