La vicenda di Cesare Battisti è esemplare di una forma di confusione ideologica che ha negato, nella sua cecità, la natura realmente democratica della nostra Repubblica. Nei 37 anni della sua lunga fuga dalla giustizia italiana, che lo ha condannato per quattro omicidi di natura terroristica compiuti nella vergognosa stagione degli anni di piombo, Battisti, prima nella Francia della “dottrina Mitterrand”, poi nel Brasile di Lula e Dilma Rousseff, è riuscito a farsi passare per un perseguitato politico, cosa che non è. E devo dire che considero un peccato che personaggi, altrimenti di grande rilievo, come Mitterrand, Lula e Rousseff, nel loro percorso di governo, abbiano compiuto un simile scivolone. C’è una differenza indiscutibile tra una dittatura liberticida – come quella che ha perseguitato e incarcerato proprio Lula e Rousseff – e la democrazia italiana. Come certo c’è una differenza enorme tra personaggi di grande valore come quei presidenti e un delinquente come Battisti. Definirlo perseguitato politico significa metterlo nello stesso “cesto” di Giuseppe Di Vittorio, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli, solo per citare alcuni nomi dello sterminato elenco degli italiani perseguitati politici a opera del “regime” per eccellenza, il fascismo totalitario e liberticida. Un’assurdità che ne ha causata un’altra. Che a porre fine alla latitanza di Battisti non sia stata la giustizia di una democrazia, riconoscendo la legittimità democratica del nostro Paese, ma sarà, forse, il Brasile di un’autentico reazionario come Jair Bolsonaro.
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